Con
orgoglio e gratitudine riporto la recensione a
‘Goblin sette note in rosso’ che Emanuele Leotta ha
pubblicato su Selacapo.net, il sito di giornalismo partecipativo:
“Quando si
nominano i Goblin le suggestioni che affollano la mente dell’appassionato
rimandano a sonorità incredibili dell’universo prog-rock italiano. Impossibile
non ripensare alle opere cult del loro vate Dario Argento, che all’inverso
hanno tratto linfa vitale dalle magiche note dei “folletti”. I Goblin non sono
stati solo Profondo rosso e si sono fatti portatori di una rivoluzione
rock che ha influenzato la scena italiana, consolidando la vena “progressive”
dopo i primi sapori all’alba dei Settanta. Ad analizzare chirurgicamente
l’universo gobliniano ci ha pensato Fabio Capuzzo con un libro poderoso che è
una vera bibbia sulla band. Definirlo solamente un tributo ai Goblin, per
quanto ricchissimo, sembra davvero riduttivo. L’opera si può considerare a
tutti gli effetti un libro da “reparto cinema”.
La passione
confluita nel volume si esplica attraverso la volontà del proprio autore di
«scrivere qualcosa che avrei voluto sempre leggere». Capuzzo infatti è un
48enne padovano estraneo al mondo editoriale, al suo primo libro (sperando non
sia l’ultimo) e che ha preferito seguire una strada in solitaria, senza il
supporto dei diretti interessati (che poi, come possiamo leggere
nell’illuminante introduzione, tanto interessati non lo sono mai stati). Il
pianeta Goblin appare studiato nei suoi minimi atomi, grazie a un’azzeccata
trattazione cronologica che prende avvio dall’apparizione della band nei primi
anni Settanta (come le prime collaborazioni con Simonetti padre) fino al 2010,
anno di formazione dei New Goblin, con i padri fondatori Claudio Simonetti e
Massimo Morante più un altro pezzo storico, il tastierista Maurizio Guarini e i
due giovani Titta Tani (batteria) e Bruno Previtali (basso), provenienti dai
Daemonia, attuale band di Simonetti (ha cambiato la denominazione in Simonetti
Project nel 2012).
Capuzzo, oltre a
dedicare interi capitoli a parte alle produzioni filmiche più importanti della
band (Profondo rosso, Suspiria, Zombi…), riporta
anche centinaia di titoli in corpo al testo (o nella sezione note, in pratica
un secondo volume). Si tratta di produzioni, con tanto di sintesi della trama e
scheda tecnica, in cui i Goblin hanno certamente eseguito le composizioni di
altri autori. Questi ultimi poi, se impegnati nella produzione di colonne
sonore di genere (soprattutto gialli, horror e “poliziotteschi”) sono
analizzati in schede filmografiche in nota, con un prezioso corollario delle
etichette discografiche per ogni singolo lavoro pubblicato.
Impreziosito da
una scrittura piacevolissima e scorrevole, ma anche sensata e lontana da ogni
santificazione, Sette note in rosso (curioso il titolo di stampo
fulciano, dal momento che i Goblin sono legati indissolubilmente al “rivale”
Argento), presenta dati storicamente attendibili che spazzano in un sol colpo
omissioni discografiche e convinzioni “tuttologiche” della rete internet, che
presenta ancora sanguinose lacune e clamorose sviste sull’argomento. Segno di una
ricerca archivistica ponderata e faticosa da parte di una “voce del pubblico”.
Minimo comun denominatore è proprio il marchio Goblin, al di là delle svariate line-up
succedutesi nel corso degli anni (vedi l’esperienza in solitaria di Pignatelli,
depositario eterno del nome). Per i completisti risulta poi fondamentale il
capitolo 13, denominato “Opera magnifica”, e che prende in esame l’esplosione
di pubblicazioni di inediti e varie ristampe delle produzioni della band negli
anni Novanta, paradossalmente un periodo morto nell’attività della band.
Non ancora
appagato, l’autore riporta a chiusura della già sterminata trattazione ampie
schede biografiche dei membri più importanti del gruppo, per analizzarne tutti
i lavori extra-gobliniani (nel caso di Simonetti si tratta di una biografia
parallela), alcune interviste (svogliate, come sempre succede per quelle via
mail) e un ulteriore reparto discografico e filmografico per un totale di 450
pagine da divorare avidamente. Fondamentale per il fan puro, il libro diventa
preziosissimo anche per colui che vuole avventurarsi in maniera più generica
nel mondo delle colonne sonore e dei compositori italiani, argomento che in
Italia ha prodotto un numero troppo esiguo di pubblicazioni.”.
Se
è grandioso sapere che il mio libro è stato così tanto apprezzato dai lettori,
constatare che c’è anche chi si prende l’onere di recensirlo per puro piacere, senza
alcun tornaconto personale (e senza essere parente e/o amico!!) è veramente
magnifico.
A
questo punto che cosa posso dire? Grazie Emanuele!!
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