In attesa della mia recensione di Four of a kind dei Goblin 4, vi propongo un estratto dell'articolo che Gianluca Livi ha pubblicato sul sito Artists & Bands.
Gianluca, gentilissimo, mi ha autorizzato ad utilizzare il suo scritto che
potete trovare in forma integrale a questo indirizzo:
Un grazie a Gianluca, già autore di varie interviste a
componenti dei Goblin (quella a Maurizio Guarini è stata pubblicata in
esclusiva su questo blog)
e lascio a lui la parola….
Four of a kind si colloca su livelli
estremamente alti, in termini qualitativi, svelando un sano desiderio di
crescita interiore. Non è ardito affermare che il progressivo italiano, anche
grazie ad un lavoro come questo, è tuttora vivo, forte di un ascendente
esercitato non solo in Italia ma anche all’estero.
Tutto ciò, invero,
nonostante il gruppo abbia fatto del suo meglio per svilire la propria proposta
musicale scegliendo una copertina banale e mortificante, molto propensa a
dequalificare la proposta musicale piuttosto che a sublimarla. Detto questo, la
band percorre un range sonoro particolarmente esteso: che si tratti della
ambigua nenia infantile di “Mousse Roll” o della tragicità angosciosa di “Bon Ton”,
passando per l’epica magniloquenza di “Kingdom”, questo lavoro appare assai
credibile, espressione di un’evoluzione artistica che tutti i fan auspicavano
da tempo. Basti dire che con “Dark Blue(s)” il quartetto si fa beffe
dell’ascoltatore per ben due volte: il blues sottinteso nel titolo è
effettivamente esplorato dal gruppo (prima volta in assoluto per la band
romana), ma arriva inaspettato, sinuoso, serpeggiando nella ritmica lenta e
cadenzata che allude, evidentemente, all’andamento caracollante e minaccioso
del brano “Zombie”. In seguito, così
come è giunto, sparisce altrettanto ingannevolmente, spiazzando ancora,
lasciando il posto ai tanto cari meandri horrorifici, qui valorizzati da
contestualizzati innesti corali dalle tinte crepuscolari. “In the name of
Goblin” eredita il non facile retaggio di “Goblin” (brano storico presente su Roller), non solo per la presenza dello storico
moniker nel titolo, ma anche e soprattutto per la capacità della band di
trasformare in aperture solari, espressioni inquiete e meste dal forte
magnetismo interiore. “Love & Hate” presenta delle cupe attitudini iniziali
che sembrano omaggiare la plumbea ascendenza del Balletto di Bronzo di YS, subito vanificate da sortite
atmosferiche, talvolta angoscianti, altre malinconiche, sempre puntuali (e mai
tradite) manifestazioni del tanto caro 'Goblin touch'. “Uneven Times”, ennesimo
episodio estremamente valido, può senza dubbio essere segnalato in termini di
mini suite, strategicamente collocata in apertura dell’intero lavoro, che
palesa – nel caso ce ne fosse ancora bisogno – l’efficace propensione del
gruppo alla sonorizzazione di pellicole (cosa aspettano, i registi del genere,
a commissionare alla band una colonna sonora, ce lo si chiede tuttora).
In conclusione, va
detto che, segnalandosi quale naturale seguito di Back To The Goblin, questo album cancella d’un soffio le poco apprezzate
incursioni hard che fecero dei New Goblin una parentesi non troppo stimata,
dovuta al retaggio heavy dei (pur validi) membri dei Daemonia che vi
militarono. Rispetto all’attuale formazione parallela (se così si possono
chiamare i Claudio Simonetti’s Goblin), questo combo palesa la capacità di
rinnovarsi con credibile attendibilità, fuggendo a gambe levate dal clichè
stagnante della “cover” proposta più e più volte senza alcun desiderio di
crescita interiore.
Voto: 89/100
concordo con la valutazione della cover...davvero penosa e fuorviante purtroppo! Un'occasione persa per rinverdire il mito dei Goblin.
RispondiEliminaIl contenuto musicale lo si valuterà dopo molti ascolti. Al momento, dopo 4 ascolti, sono ancora abbastanza deluso: a parte Kingdom e Bon Ton, il resto suona 'addomesticato' almeno per le mie orecchie, quasi un esercizio per musicisti di questo spessore. E' la parte artistica che langue...ma spero di rivedere in parte il mio giudizio (che cmq al momento non è dissimile da ciò che provo per Backtothegoblin)
Michele M
non sono d'accordo per niente : il disco è strepitoso, e la cover pure....sinceramente non capisco cosa ci troviate tutti di brutto ! finalmente i volti dei musicisti in copertina, finalmente disegnati (e non in semplice fotografia) , come nelle locandine cinematografiche di una volta, e finalmente un bellissimo disegno (che non è fuorvainte per niente, visto che i Goblin sono famosi nel mondo soprattutto per le colonne sonore horror....)
RispondiEliminapreferisci forse le solite cover che Simonetti ci propina da 16 anni ? (coi Daemonia....perchè da solista ha cominciato a riproporle molto prima....)
Grazie per i vostri commenti, sempre graditi!
RispondiEliminaMi riprometto di scrivere (e postare) nei prossimi giorni una corposa recensione di Four of a Kind.
Per il momento mi limito a dire che lo giudico parecchie spanne al di sopra di BackToTheGoblin2005.