sabato 20 giugno 2015

Cherry Five: Il pozzo dei giganti. Recensione dell'album e del concerto d'esordio.




Il 18 maggio scorso si sono presentati sulle scene discografiche e concertistiche i Cherry Five. La band capitanata da Carlo Bordini e da Toni Tartarini allinea tra le proprie fila il tastierista Gianluca De Rossi (Taproban), già compagno del batterista nell’avventura De Rossi & Bordini, il chitarrista Ludovico Piccinini (Prophilax) ed il bassista Pino Sallusti (Pino Sallusti Group, Pasquale Innarella Quartet). In occasione del FIM, la Fiera Internazionale della Musica che si è tenuto a Genova dal 16 al 18 maggio, è stato pubblicato in una prima edizione limitata di appena 100 copie numerate a mano e con copertina a poster, il CD Il pozzo dei giganti, registrato tra marzo ed aprile 2015 nello Studiosette di Roma (già sede delle prove nel giugno 2014). L’album che reca in copertina un dipinto di Daniela Ventrone è dedicato alla Divina Commedia di Dante Alighieri e contiene tre brani: “Il pozzo dei Giganti”, “Manfredi” e “Dentro la cerchia antica”.


 “Il pozzo dei Giganti”, si apre in modo rumoristico con piatti, armonici di basso, note d’organo effettate con il Leslie su cui entra il riff d’organo, assoli di chitarra e la voce, un bridge eseguito all’unisono da tastiere ed elettrica, poi entrambe in assolo con il MiniMoog dalle sonorità Simonettiane. Subentra quindi una parte più melodica, divisa in due sezioni, la prima si conclude su un assolo di batteria, la seconda sugli accordi aperti e ripetuti del pianoforte ed il cantato drammatico per poi sfociare in assolo di basso acustico, prima melodico poi più veloce ed in un intenso assolo di chitarra elettrica. Inizia quindi un tema al piano elettrico dalle coloriture quasi funk ma assai rallentato, ripetuto poi anche dalla elettrica con l’organo a fare da sottofondo e la voce che recita versi in latino su cui si inserisce una parte in crescendo con il tema eseguito dal synth, un assolo di chitarra ed una nuova pausa su cui si innesta una tastierina, percussioni, mellotron e quindi l’elettrica dura e tagliente con la voce che raggiunge toni più alti, urlando un “chi mi salverà” in un crescendo disperato sottolineato da un assolo teso di Moog e dal finale con gli stacchi dei vari strumenti. 
Il pezzo si sviluppa come una vera e propria suite di rock progressivo della durata di 25 minuti, in cui parti cantante si susseguono ad altre strumentali con frequenti stop a cui corrispondono ripartenze che sviluppano temi musicali diversi. Il brano è ispirato all'episodio dell’Inferno in cui Virgilio mostra a Dante il pozzo in cui si trovano, conficcati nel suolo, gli appartenenti alla stirpe dei Giganti e dal punto di vista musicale evoca atmosfere variegate che sottolineano sia la cupezza dell’Inferno che gli stati d’animo dei dannati mentre i Giganti che Dante sembra punire per la superbia simile a quella di Lucifero, diventano più prosaicamente tutti gli approfittatori ed i meschini: “troppi giganti fasulli cresciuti alle spalle degli altri, troppi giganti vigliacchi nascondono i piedi di argilla”.


“Manfredi” è la trasposizione musicale dei versi 103-145 del canto III del Purgatorio: Dante incontra Manfredi di Svevia che gli narra di essere stato un cavaliere, acerrimo nemico del potere ecclesiastico e per questo scomunicato ma che, colpito a morte in battaglia, si pentì sinceramente, tanto da essere perdonato da Dio e gli chiede di riferire alla figlia Costanza che non è all’Inferno ma nell’Antipurgatorio e che le sue preghiere posso abbreviare la sua permanenza. Il brano della durata di sedici minuti si suddivide in quattro ‘sezioni’ secondo una struttura cara anch’essa alle suite ed ha come modello, nelle intenzioni degli autori, le composizioni dei Gentle Giant. “Manfredi” si apre su “La forza del guerriero” i cui riff di elettrica, il tema baldanzoso ed il cantato rievocano la PFM e la figura fiera del cavaliere. “Il tempo del destino”, pacata e melodica, scandita sul plettro ed il bordo rullante con un bel assolo lirico di chitarra elettrica, narra della presa di coscienza di Manfredi che va incontro al suo destino. “Terra rossa” con il riff di elettrica contrappuntato dall’organo, rievoca campi di battaglia impregnati di sangue. In “Un mondo tra noi due” si torna su registri ampiamente melodici, una lettera d’amore che Manfredi rivolge alla figlia, in cui ricorda i giochi, rimpiangendo il tempo perduto ed invocando la sua preghiera, fiducioso di poterla riabbracciare per l’eternità.

“Dentro la cerchia antica” ispirato al XV canto del Paradiso in cui Dante incontra l’avo Cacciaguida che gli parla dell'antica e morigerata Firenze, ben diversa da quella conosciuta dal Poeta, ricorda la PFM e la musica popolare medioevale con strumentazione acustica, synth flautati, percussioni, un ritmo da danza di corte ed un lungo assolo finale di chitarra elettrica melodico ma di impostazione metal al termine del quale parte una ripresa strumentale del tema de “Il pozzo dei giganti”.

Il pozzo dei giganti è un ottimo album di rock progressivo che avrebbe fatto gridare al capolavoro se fosse uscito negli anni ’70. La band è quanto mai affiatata, pur risultando sulla carta composta da musicisti con esperienze musicali completamente diverse. 


Carlo Bordini possiede una tecnica impeccabile ed è un piacere risentirlo in ambito rock dopo decenni di musica classica e jazz;


Antonio Tartarini conferma di avere una delle voci più belle del panorama prog italiano ed il suo cantato risulta particolarmente emozionante nelle parti più melodiche;


Gianluca De Rossi sfoggia estro e strumentazione degna dei migliori tastieristi anni ‘70: Hammond C3 equipaggiato con Leslie 122, MiniMoog, Mellotron M400, Fender Rhodes MKII, Hohner Clavinet D6 ma anche Piano Yamaha CP33 e Roland JX8P;



Ludovico Piccinini si rivela un chitarrista talentuoso e duttile dalla solida tecnica che radica nella musica classica, dando prova di essere ben più di un chitarrista metal potendo portare accentuazioni jazz e fusion;



il jazzista Pino Sallusti con un passato di esperienze con artisti come Mike Mainieri, Geroge Garzone, Eddie Henderson e Gary Bartz adotta in un contesto prog bassi acustici elettrificati e contrabbasso con risultati sonori sorprendenti.



La formazione ha debuttato dal vivo lo stesso 18 maggio con un concerto nel Prog Festival del FIM. La band, alle 15.30, dopo aver eseguito “Il pozzo dei giganti” e “Manfredi” si è lanciata, emozionatissima (soprattutto Tartarini che potrebbe far parte dei nuovi Il Ritratto di Dorian Gray, dato che appare tale e quale a quarant’anni fa!), in una bella versione di “Country grave-yard”, fedele all’originale grazie alla perizia degli ottimi musicisti e che ha lasciato senza fiato i pochi ma attenti spettatori, tra cui il sottoscritto e l’amico Roberto Attanasio. Dopo aver assistito all’intero concerto fianco a fianco, al termine del pezzo ci siamo abbracciati, consci di aver assistito ad un avvenimento al limite dell’incredibile anche per due fan sfegatati come noi, un’ulteriore dimostrazione che nulla è impossibile nel mondo dei ‘Goblin’.




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